PANORAMI TOSCANI

Toscana colpisce sempre nel centro del cuore, per il gioco dei colori, per la diversità percepibile ad occhio nudo viaggio per viaggio, escursione per escursione, o anche attraverso una tranquilla scorribanda in auto assaporando le curve del tempo e dello spazio.

I luoghi in certi tratti manifestano grande vitalità, in altri sembrano veri e propri dipinti, ed è da questo miscuglio di immagini e sensazioni, che si viene catturati ogni volta che si passa da quelle parti.

Man mano che ci si avvicina a Firenze dalle località che vi sono intorno è affascinante il graduale percorso di avvicinamento al sublime, ovvero a quel connubio fra arte e paesaggio che rende questi luoghi un inno alla bellezza, un posto dove si incontrano il lato umano e quello divino.

Una delle caratteristiche di questa regione è la presenza di colori e vegetazioni una diversa dall’altra a poca distanza di chilometri, mantenendo comunque una coerenza nell’impatto visivo che la svela dolce ed al contempo selvaggia.

In certi scenari si respira quello che Firenze e la zona circostante erano un tempo, boschi, paludi e lagune, inizialmente abitate da popolazioni liguri del nordovest e da popoli etruschi.

Un tempo le realtà urbane erano organizzate sui rilievi, proprio al fine di proteggerle e mantenere intatto il territorio. In certi momenti si resta attratti da come il passato sembra tornare attuale, soprattutto conducendo una vita in campagna, che trasmette un senso di genuinità e di liberazione.

Dal terzo secolo  i Romani, con la loro visione razionale e concreta,  provvidero a regolamentare le acque nelle pianure e a fondare nuove città fra le quali Firenze, Pistoia, Lucca e Pisa, con l’apertura di strade , da sud al nord, in questo modo dall’Etruria si poteva arrivare  nelle Gallie.

Tornando al percorso dalla campagna alla città è imperdibile il’canale’ della via Chiantigiana, una delle strade più piacevoli del Chianti classico, un appuntamento per la musica dell’anima, con tele che vengono riprodotte nella realtà attraverso il verde speranza delle colline, la storia e la raffinatezza dei borghi ed il fascino delle grandi casate produttrici del famoso vino Docg.

Merita più di un giro la strada che collega Impruneta a Firenze, un trionfo di verde, di giallo, di natura baciata dal sole nelle giornate migliori, con case invidiabili, vedute panoramiche che sono veri e propri binocoli sui monumenti, i giardini, e le aree verdi,  e scenari suggestivi che rappresentano il cuore della Toscana; tutti questi fattori  sembrano fermare il tempo , metterne in mostra tutta la storia e le tradizioni, coinvolgere il visitatore in una gita senza meta, perché ogni gita è una sorpresa; l’Impruneta è famosa per la terracotta, il cotto dell’Impruneta, che fra i tanti colori caratterizza la zona sposandosi come detto sopra, con il giallo ed il verde; e poi tanti tipi di verde quanto differenti le tipologie di alberi e le illuminazioni della luce di Dio.

Terra di grandi santuari, quello mariano in questo caso, avvolto nella bellezza della campagna toscana; Impruenta è oltre che anticamera per la Firenze nobiliare, sito di tradizioni prima etrusche e poi romane.

Non basterebbero migliaia di enciclopedie per descrivere la Toscana e tutti i suoi bei sentieri, le strade che dal mare ad esempio accompagnano lo spazio verso la riconnessione con la Natura e con il verde.

Perché qui c’ è tutto, il mare, la montagna, le colline, i colori, il calore della gente, e come detto tante nature, tante sfumature, quanti sono i diversi modi di rapportarsi della storia con il territorio.

E allora per chi viene dalle zone del mare, grossetano, quindi Follonica, Scarlino e via dicendo non si può non provare il brivido del percorso nell’entroterra attraversando le strade interne del senese e del fiorentino, scoprendo quanto può dare il contatto con una Natura mutevole che non possiamo non riconsiderare, perdendo per un momento almeno la connessione con la modernità e le tecnologie, con il tessuto urbano e gli stress, ed immergendoci nella Patria della quiete e della serenità.

Dedicato ai miei cari cugini Massimo e Franca che mi hanno insegnato a conoscere nuovi volti della Toscana( non si smette mai).

David Taglieri

Continua

Goethe e la sublimazione delle Arti

Goethe fu uno degli autori più caratteristici nel trasferire sulle sue opere, l’influenza della sua vita e biografia, disse- non ho mai scritto una sola riga che io non abbia mai vissuto, man mano che si rinnova la sua vita si registrano tanti piccoli cambiamenti nel personaggio-attore Goethe, il Goethe Werther, il Goethe Tasso, il Goethe Faust.

Wolfgang Goethe nacque a Francoforte( 1749-1832) da un’agiata famiglia borghese, dal padre ereditò il gusto del sapere, dalla madre l’ammirazione per la bellezza e l’estetica.

Scrisse fra le prime commedie ‘die Mitschuldigen’( i complici) dedicata agli intrecci dell’amore e alle delusioni legate al rifiuto.

Amante della tragedia greca e della filosofia, approfondì Omero e analizzò il pensiero di Spinoza.

Uno dei liet motiv di tutta la sua vita fu il pensiero –che volendo bene ad una creatura si può farle del male-, ed in questo sentimento che subì e provocò si articolerà tutta la continua lotta fra Bene e Male che lo stesso Goethe tentò di comprendere, almeno di cercarne il senso.

Nel 1774 ottenne il massimo successo il romanzo- I Dolori del giovane Werthers, scritta di getto , grande introspezione psicologica, profondità di pensiero e grande attenzione nei particolari.

Le opere di Goethe ed il Werther in particolare coincidono al periodo culmine della letteratura tedesca, lo Sturm und Drang.

Nel 1775 chiamato dal duca Carlo Augusto si trasferisce a Weimar, nominato consigliere di legazione, con l’incarico di organizzare e dirigere gli spettacoli di corte.

Fondamentale per la sua vita, il pensiero, lo stile fu il viaggio in Italia dove Goethe dal 1786 apprese l’armonia greco latina e l’essenza della classicità; -L’Ifigenia di Tauride  è di tutte le opere la più compiuta, armoniosa e proporzionata, vi si avverte l’influenza della statutaria  greca, modello anche per la sua poesia, ma con una idea morale nuova.

-Ifigenia-  prigioniera non trova più la salvezza dal di fuori, ma  dal didentro, non evade grazie allo stratagemma con cui Euripide la salva, ma grazie alla verità confessata e dichiarata.

Goethe regista e il ‘Meister’

Di origini romantiche nel pensiero, nella tradizione, e nella poesia germanica sognò un nuovo, nobile  Teatro Germanico;  mise sotto la lente d’ingrandimento la Scena con – Il Tirocinio di Wilhem Meister-, la storia delle vicende attraversate da un giovane che crede nel Teatro, perché in esso vede lo strumento che mette in diretta comunione e comunicazione l’anima della folla con la poesia, e viceversa.

Proprio per dare al suo paese l’invocatissimo  Teatro nuovo Guglielmo Meister si fa attore; il racconto delle sue avventure non ha un’unità di intrigo, si procede via via episodio per episodio, soffermandosi ora su un particolare narrativo ora su un altro.

Un grande esempio di teatro nel teatro che rende l’opera mezzo per analizzare tutte le problematiche sceniche ed episodiche, aprendo migliaia di interrogativi sulla storia e l’evoluzione del teatro, e del suo rapporto con la gente e le folle.

Il supremo studio affrontato da Meister è ‘l’Amleto’;alla fine il ritiro dal teatro a favore di una compagnia di coreografi; ma un ritiro non definitivo, è vero il pubblico predilige agli allettamenti dello spirito le seduzioni dei colori e delle forme, le immagini del mondo.

Ma cosa sono la vita ed il mondo se non teatro, così come le emozioni, le sensazioni e la vita interiore; con la differenza che quello che passa dentro fuoriesce almeno in parte raggiunge tutti e ritorna agli attori.

Goethe credette  alla missione educatrice dell’arte, al cosiddetto sacerdozio dell’attore, eccolo il Goethe direttore- pretendo riverenza dal pubblico, nessuno entri in teatro con il cappello in capo, silenzio in teatro, come in chiesa.

Allo stesso tempo pretendeva disciplina dai suoi attori, disciplina etica ed estetica.

Nel 1803 scrisse –le regole per gli attori, Regeln fur Schauspieler.

Gli attori sono sculture viventi moderati da norme estetiche.

L’attore deve rendere comprensibile la poesia al pubblico, dando valore al ritmo ed alla parola; non voleva la mera rappresentazione della realtà  ma la sua idealizzazione.

Odiava le scene di morte troppo realistiche con l’incedere su particolari clinici, insomma non si doveva mai perdere il fulcro della storia, in questo caso il tema interiore ed esteriore della morte.

Per Goethe il quadro scenico doveva essere alla greca, una sorta di bassorilievo variato dalle figure dei personaggi animate melodiosamente.

Il fatto estetico incide relativamente, Goethe voleva educare la gente alla contemplazione della poesia.

Goethe voleva individuare nella classicità, nella filosofia, nella poesia elementi di novità che non fossero freddo bagaglio per intellettuali ma trovassero  interesse fra le folle, nella gente, per lui teatro come detto era interrelazione con l’arte tutta in generale, e forse addirittura un modo di sublimare su  un palco, musica, umanità, poesia, amore per la storia grecoromana

David Taglieri

NELLE PIEGHE DELLA STORIA: I REGALI DI NATALE ( Di Claudio Tescari)

Il solstizio d’inverno segna un passaggio che l’uomo ha sempre caricato di significati: quando cominciano ad allungarsi le giornate, si apre un nuovo ciclo, il Sole rinasce, il Sole vince, nascono nuove speranze di vita e spirituali (il Natale del Signore) e per questo che si fa iniziare un nuovo anno in questo periodo. Ed è un periodo di gioia, di speranza e di rinnovamento che le civiltà occidentali hanno sempre festeggiato. Presso i Romani, dal 17 al 23 dicembre, si celebrava la festa dei Saturnali (alcuni giorni paragonabili alle feste di Carnevale) in cui i tribunali e le scuole erano chiuse, ci si mascherava, si scambiavano i ruoli sociali, si poteva giocare d’azzardo, si facevano e si ricevevano doni, inizialmente di poco valore (bambole di terracotta, ceri, noci) ma durante l’Impero si giunse a scambiarsi regali di maggior valore. Il Santo Natale si sostituì a questa tradizione più antica e l’aria di festa rimase, con la sua alimentazione più ricca del solito, con la gioia e con i doni.
Per quanto attiene ai bambini, la poesia della festa e la magia del regalo che provoca sorpresa ed allegria, con il tempo ha subito delle trasformazioni. Nei Paesi di lingua spagnola (ma anche in Sicilia fino a qualche decennio fa) i doni ai bimbi li portano i morti, gli antenati che vengono ricordati e celebrati il 2 Novembre. In Scandinavia, la festa della luce e dei regali ai bambini è il giorno di Santa Lucia, 13 dicembre, giorno del calendario Giuliano in cui cadeva il Solstizio prima della riforma del calendario Gregoriano. Anche in Italia c’erano tradizioni diverse: a Roma i doni li portava in esclusiva la Befana, mentre in molte regioni del Centro e Nord Italia tale generosità era opera di Gesù Bambino. Solo da qualche decennio Babbo Natale ha soppiantato tutti in fama e generosità. Santa Klaus non è altri che l’olandese Sinter Niklass trapiantato in America ovvero il nostro venerato San Nicola, Vescovo di Mira (in Asia Minore) e patrono della città di Bari. Le verdi vesti vescovili caratterizzavano l’immagine di San Nicola, protettore dei giovani (ne resuscitò tre uccisi da un oste) e delle fanciulle (a tre sorelle povere donò dei globi d’oro per potersi fare la dote). Inizialmente era verde pure la casacca di Nonno Gelo, l’invenzione propagandistica dell’Unione Sovietica per contrastare Santa Klaus durante la guerra fredda. L’aspetto che conosciamo di Babbo Natale, con l’abito rosso bordato di bianca pelliccia, l’età veneranda, la barba bianca ed il fisico pesante, il volto sorridente e rubicondo, risale agli anni venti del Novecento, quando la Coca Cola lanciò una campagna pubblicitaria invernale, in cui Santa Klaus era disegnato con la bottiglietta in mano e con gli stessi colori dell’etichetta, rossa con le scritte in bianco. Un look che Babbo Natale indossa in tutto il mondo.

Socci e i ‘maledetti e benedetti’ toscani

Gli eventi della vita ci capitano ogni giorno con ritmi improbabili e
intensità fatte di alti e bassi senza che noi possiamo dar loro un nome, un
senso, una motivazione adeguata, il più delle volte ci affidiamo al caso perchè
è più semplice e non bisogna ringraziare nessuno.

Raramente ci interroghiamo sul Destino e su quel lungo sentiero legato al Fato
che ci può condurre verso l’Invisibile, dunque Assoluto.

-Come è grande il Mondo come è bello Dio- di Antonio Socci, pag 153 edizioni
Piemme ottobre 2005, raccoglie una serie di articoli caratterizzati da umanità
ed emotività frutto dell’attività di editorialista al Giornale ed al Foglio del
giornalista toscano, sempre attento all’analisi dei principali fatti della
quotidianità attuale con un taglio antropologico, per mezzo anche delle lenti
filosofiche di pensiero crisitiano.

Come umilmente ci dice Socci nella introduzione, le imperfezioni di ogni
racconto e narrazione del Terzo Millennio son sempre personali, per quanto ci
si voglia spogliare di soggetività e sentimento, la storia è sempre descritta
con i parametri dell’io e dell’esperienza.

Ed infatti a fare la differenza sono gli occhi con cui li si guarda, dietro i
quali si nascondono gioie, sofferenze, aspettative, delusioni, laddove passato, presente e futuro danzano sulle note della vita.

Potrebbe essere quello di adesso un mare arido e senza rotte, ma trasformato
in tensione positiva si potrebbe trattare di un crocevia decisivo, dove
l’umanità si gioca tutto.

Dedicato alla memoria di Giovanni Paolo secondo e del suo maestro Don
Giussani, colui che gli ha insegnato a muovere gli occhi per interpretare e
decifrare gli eventi il libro rappresenta un pezzo di Toscana nel cuore del
mondo e nell’anima dell’Assoluto; la raccolta incomincia proprio con Benedetti
Toscani, Montanelli, Oriana Fallaci, Benigni e Dio.

Adriano Sofri un giorno avvolto nella tempesta del dubbio scrisse, non
sappiamo più in cosa non crediamo noi non credenti,e Proust- certi incontri mi
facevano trovare ancor più bello un mondo che fa crescere così, su tutte le
strade, di campagna, fiori ad un tempo singolari e comuni, tesori fuggitivi di
un giorno, fortune inaspettate.

Prima il grande Indro e le sue provocazioni oggetto sempre di dibattiti,
riflessioni, interrogativi: per il suo tempo fu un anticonformista, non
adeguandosi al potere politico democristiano e tanto meno alla prepotenza
culturale del Pci, un non allineato, osannato gli ultimi anni della sua vita e
glorificato dopo la morte, ma mai valorizzato realmente in maniera totale per
le sue oggettive qualità di narratore-cronista-opinionista, nel corso dei suoi
lunghi anni.

è la stampa bellezza.

Fa sorridere ricordare quella domenica alla Versiliana, quando il fumantino di
Fucecchio se la prese perfino con la Nazionale Italiana di calcio di Zoff,
impegnata agli Europei del 2000 esclamando- io spero che perda: pur di
dispiacere il grande bastian contrario era pronto a fare l’uccello del
malaugurio, senza la paura che gli fosse affibiata l’ etichetta di
iettatore, contro quello che gli italiani ritengono di più sacro.
Penna semplice ma elegante, ha trascorso gran parte della vita a farsi odiare
da una buona metà di italiani conformisti, poi come detto negli ultimi anni si
è fatto detestare dalla sua ex area di appartenenza, quella liberalmoderata e
anche conservatrice e tradizionalista si potrebbe dire.

Socci paragona le ultime fasi dell’esistenza di Montanelli a quella di Gustave
Flaubert, lo scrittore francese fu infatti attanagliato da depressione e
misantropia, allontanamento dalla politica, rifiuto della modernità e derivati
di modernizzazione come dogma, idiosincrasia per la esaltazione esibizionista
e per la spettacolarizzazione idiota.

Singolare una delle sue frasi testamento-mi piacerebbe non morire prima di
aver svuotato qualche altro secchio di m sulla testa dei miei simili…
Insiste lo scrittore senese, certe corrispondenze di guerra di Montaelli sono
vere e proprie pagine di letteratura.

Il Montanelli alla ricerca della fede, forse si forse no mai trovata che si
domandava-Se Dio lo trovassi gli direi perchè non mi hai dato la fede?
La crisi della Chiesa e la simpatia umana per Giovanni Paolo secondo,da
laicaccio toscanaccio convinto aveva interesse dall’esterno per le questioni
cristiane.
Si passa poi alla descrizione del fenomeno Benigni, articolo del 13 marzo 2002
che ricorda la performance dell’ attore fiorentino al festival di Sanremo,
conclusa con la sorpendente recitazione del canto xxxiii del Paradiso di
Dante; un tempo lo scandalo era parlare di sesso anche in maniera garbata, ed
era eccessivo, un taboo che ha creato conseguenze opposte.

Oggi diventa imbarazzante secondo i canoni dei modelli prevalenti parlare di
anima ed affrontare temi riguardanti il connubio fede-pensiero, venendo
additati in maniera generica come medievali.

Testuale..la nostra, anche quella giornalistica è una intellighenzia bigotta,
censoria, e ha reagito come una volta i preti stessi reagivano di fronte ad
allusioni di carattere sessuale-Censurando.

Da brividi ed emozionatissimo il ciclone Benigni ha avuto il merito di dare
risonanza alla Letteratura Italiana con una preghiera intensissima che ha fatto
di Dante e dello stesso Roberto paladini per una sera della Fede: si proprio
quel Benigni che ha disegnato con occhi, movimenti corporei, parole e
gestualità la Vergine Maria come la donna più dolce e meravigliosa.
Per non parlare del momento in cui dice- l’ Amore è la mano di Dio sulla
spalla dell’uomo, sottovoce, non per evitare l’esposizione ma per creare un
momento intimistico.

Non si può dimenticare la sua conterranea Oriana Fallaci che nella Rabbia e
l’Orgoglio dice di non centrare nulla con la Chiesa, ma allo stesso tempo
quella italica cultura impregnata di cristianità nelle opere d’arte la porta
ad interrogarsi che è principio della ricerca.

Santa Maria del Fiore arte, muisca e paesaggi accarezzati dalle colline
toscane, la melodia delle campane accende il cuore e riconcilia con il
territorio, mettendo le ali per volare con la mente.
Il 9 gennaio 2003 alla ripresa del programma Excalibur di e con Antonio Socci
lo stesso dedica tutta la puntata a questo evento eccezionale targato Benigni e
in un dialogo con Paolo Mieli avanza la convinzione che la passione e
l’intelligenza interpretativa di Benigni avessero la spiegazione della
conversione.
L’idea suscita confronti e dibattiti che arrivano al diretto interessato,
afferma lo stesso- è una bella idea ed un grande omaggio, grazie,fra
toscanacci ci si intende-

La Divina Commedia non è semplice lettura, ma esperienza di vita, sembra di
camminare accanto fisicamente e moralmente a Dante nel leggerla con emozione ,
evidenzia Socci, è cambiamento,metanoia, conversione, progetto di mutamento
nella rotta.

Si viaggia sulle note della sinfonia toscana, quei sapori che sanno di buono,
quei profumi che inebriano, quella terra che riconduce all’eternità. E poi gli scambi di opinione foglianti con gli amici editorialisti di sempre, Filippo
Facci, Giampiero Mughini e Giuliano Ferrara.
E la speranza unita alla profondità che sempre traspare dai pezzi, pensati e
vissuti.
Una lettura piacevole per dire si alla vita vissuta e pensata abbandonandosi
anche all’Eternita.
David Taglieri

GIACOMO LEOPARDI, QUANDO IL PASSATO RIGENERA IL FUTURO

Ci piace ricordare la figura di Giacomo Leopardi, un devoto alla ricerca dell’infinito con molti dubbi, ma con l’anima che è un mare in piena nell’analisi delle sensazioni e delle percezioni dell’uomo, nella costante indagine del rapporto con lo spazio e con il tempo.
Nacque a Recanati nel 1798 dal conte Monaldo e dalla marchesa Adelaide; consumò ben sette anni dal 1809 al 1816 in uno studio matto e disperatissimo; acquistò ben presto una buona conoscenza delle lingue classiche, studiò l’ebraico e le lingue moderne, compose opere erudite di grande impegno; molto formativi per lui furono Foscolo, Goethe e l’Alfieri.
Una delle note caratterizzanti la sua vita fu una solitudine in parte voluta, visti i suoi interessi maturi fin dalla giovane età, in parte effetto di un cattivo rapporto con il mondo e con le persone che aveva intorno, anche a causa di una certa ipersensibilità.
Per sua stessa ammissione senza il vuoto, l’isolamento, e il desiderio per il non accaduto Leopardi non avrebbe potuto scrivere mai veri e propri capolavori della letteratura italiana e mondiale.
Nonostante non fosse fedele alla dottrina cattolica era in uno stato di continuo tormento generato dalla sete di Infinito e dalla fame per la Verità, allo stesso tempo accompagnava queste scorribande dell’animo all’ansia romantica per le illusioni.
Fra il 25 ed il 28 una sorta di riedizione del viaggio in Italia di goethiana memoria, anche per individuare una dimensione di vita definitiva, lontana dalle sue amate origini recanatiane.
Accettò la proposta dell’editore Stella di sopraintendere ad una edizione delle opere di Cicerone a Milano; le precarie condizioni fisiche lo convinsero a lasciare Milano; con i proventi delle lezioni private e lo stipendio di Stella riuscì a trasferirsi prima a Bologna, poi a Firenze, dove entrò in contatto con i Cattolici Liberali riuniti intorno alla rivista Antologia; Pisa fu fondamentale nell’incontro e nella rinascita del suo primo amore: la poesia, coi Canti, il Risorgimento e a Silvia.
Leopardi viene sempre accostato alla definizione di pessimismo storico, in realtà egli non negò mai di aderire a questa sua corrente personale, il problema è come molti critici si siano scordati che il moto pessimista fosse il principio di una reazione virile, guerriera e combattiva, che puntasse in ultima analisi ad un messaggio di solidarietà umana; si interrogò sempre sulle condizioni dell’esistenza, affrontando alla stessa maniera , poesia, filosofia, psicologia e antropologia; senza trascurare la relazione con la Natura, molto spesso inquadrata in accezione naturalistica ed allo stesso tempo in una prospettiva tutta allegorica.
Leopardi è molto sensibile al contesto storico che respira, siamo in clima di delusione storica, con la conseguente crisi ideologica dell’Europa fra Rivoluzione Francese e Restaurazione; in mezzo tutte le credenze di Leopardi messe in discussione, l’eroismo, le virtù civiche, il patriottismo, figli anche dell’approfondimento maturato in lui grazie allo studio, la passione, la rielaborazione delle lezioni grecoromane.
La felicità è un’esigenza che non si può sopprimere, l’uomo vuole superarsi e ambire ad essa, ma si accorge che è limitato, quel limite gli fa realizzare grandi progetti puntualmente delusi; l’argine-limite lo spinge a cercare e ricercare.
Questa inquietudine è eterna ed edifica e leviga il monumento leopardiano.
La Natura lo scuote, lo angoscia per il suo meccanismo fatale, allo stesso tempo lo attrae per la bellezza, la perfezione, la particolarità dei suoi dettagli: per Leopardi deve esserci qualcosa di più grande che la ha progettata, ma il dubbio prevale,e lo riporta ad interrogarsi.
Per Giacomo la scrittura è lacrime, sfoghi, trasporto di inchiostro, parole, emozioni sul quaderno della vita, è l’immaginazione delle cose concrete, la loro idealizzazione, ed allo stesso tempo il loro ridimensionamento.
La premessa: l’universo è privo di significato? Sviluppo del tema ,la ricerca dei significanti e dei significati della vita.
Ricordiamo lo Zibaldonedel 1898, raccolta caotica di appunti di ogni genere, esperimento interessante per inquadrare da più prospettive il genio, e poi in ottica filosofica il contrasto fra il nulla e l’Infinito nelle ‘immaginazioni dell’Infinito’.
Le Operette morali furono il tentativo in dialogo e prosa di fornire riflessioni sul rapporto fra uomo e morale, attraverso stratagemmi di finzioni fantastiche ed allegoriche.
La sua produzione è interminabile ed avrebbe bisogno di più puntate, ma oggi ci interessa pensare a come Leopardi avrebbe stigmatizzato l’epoca ipertecnologica lontana da penne, quaderni e pensieri.
Molto spesso Leopardi viene ridotto a macchietta per il suo pessimismo e le sue continue riflessioni: in realtà dietro Leopardi c’è ogni uomo che si guarda allo specchio e ragiona sulla vita.
A margine ci piace rammentare una delle sue armonie più belle, il Passero Solitario, nell’edizione napoletana dei Canti, del 1835, raffigurazione di natura e di vita, con un animo sempre più sognatore: il parallelo è fra sé stesso ed il passero solitario, dal quale emerge l’immagine di una giovinezza schiva, la poesia è l’unico conforto.
Contemporaneamente il rimpianto per una gioia mai vissuta , per lui elemento di serenità era pensare ad una primavera lontana, sublime e mai goduta.
Il Pensiero di Leopardi in un vuoto ha rigenerato una intera esistenza, e prodotto più interrogativi: è sicuro che il poeta di Recanati non aprisse le sue memorie oltre che dal bagaglio del non vissuto, anche dal vissuto?
David Taglieri
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